Quando il dolore bussa alla porta

Letterbox

Amore mio,
ho bisogno di dirti una cosa. Te la sussurrerò piano piano, sperando che come una nenia la voce delle mie parole scivoli sotto le tue coperte e si raggomitoli accanto al tuo seno, dove il gelo dell’inverno non può arrivare. Mi sono alzato perché non riuscivo a dormire. Sei lì, nella stanza accanto, a pochi passi da me, ma non voglio svegliarti per dirti quanto sto male: lo sai già. E così te lo scrivo. Lo scrivo qui, su questo foglio di carta trovato per caso sulla scrivania. Lo scriverò e poi strapperò questa lettera, la incenerirò e la butterò nella pattumiera.

Domani mattina, quando ti sarai svegliata, non ti accorgerai di nulla. Io sarò tornato a letto già da qualche ora. Mi guarderai mentre dormo, senza sospettare. E di queste parole che sto scrivendo non rimarrà alcuna traccia. Ho bisogno di scriverle, però, anche se sono le quattro di notte e non sono tanto lucido. E allora ti dico qui quello che non ho il coraggio di dirti a voce.

E’ inutile giraci attorno: domani nostro figlio avrebbe compiuto cinque anni. So che sarà dura, lo è da sette mesi. E so che una parte di me pensa che abbiamo fatto bene a non parlarne, a non toccare l’argomento, a fare finta che domani sarà un giorno normale, un giorno come tutti gli altri, quando sappiamo benissimo che siamo solo diventati più bravi a mentirci, niente di più. E allora ho capito che forse, forse sarebbe meglio pensare a un programma, stilare un programma di quello che faremo domani, così forse, forse se il dolore che ci verrà a trovare ci troverà impegnati, si stancherà di bussare alla nostra porta, e andrà via, anche solo per qualche ora, si farà un giro dell’isolato, andrà a bussare ad altre porte, andrà a dire ad altri genitori: oggi tu non hai diritto di essere felice, perché tuo figlio è morto e non potrai festeggiare il suo compleanno, non potrai vederlo soffiare sulle candeline e non potrai provare quel senso di meraviglia che ti mozza il respiro quando vedi i suoi occhi felici nel momento in cui scarta un regalo che tu gli hai comprato, sapendo che un attimo dopo, un attimo dopo, lui ti verrà incontro saltandoti alle braccia per dire grazie papà, sei il miglior papà del mondo, e io ti voglio un sacco di bene.

E allora facciamo così, amore mio: facciamoci trovare impegnati, facciamo qualsiasi cosa per non farci trovare. Solo per domani. Ci alzeremo presto la mattina, e faremo colazione in giardino. Tu mi farai notare che ho i peli delle orecchie troppo lunghi, e io ti ricorderò di portarti l’ombrello in ufficio, anche se splende il sole, perché le previsioni dicono pioggia. Poi andremo al lavoro, e faremo quello che abbiamo sempre fatto fingendo come abbiamo sempre fatto che abbia una minima importanza, e saremo gentili coi nostri colleghi, e rideremo a una barzelletta idiota che ci racconteranno per l’ennesima volta, e troveremo pure il modo di farci piacere il panino freddo che azzanneremo nella pausa pranzo. Dopo il lavoro torneremo a casa, ci faremo una doccia come se fosse importante sentirci puliti, e poi e ti aiuterò a cucinare, come se avesse una qualche rilevanza mettere del cibo in corpo. Mangeremo in fretta, smaniosi di sdraiarci sul divano per guardare abbracciati uno stupido programma televisivo pieno di gente stupida che accarezzerà il nostro ego facendoci sentire tanto intelligenti. Poi andremo a letto, e prima che il sonno ci faccia piombare in uno stato di quiete profonda, faremo l’amore. E dormiremo, e il giorno dopo ci rialzeremo ancora. E io sarò tuo marito e tu sarai mia moglie. E quel dolore che ha bussato alla nostra porta tutto il giorno l’avremo lasciato fuori, al freddo, dove non c’è conforto né tepore, dove il sole sorge sempre troppo tardi, ed è sempre troppo tiepido, dove gli anni che avresti voluto vivere stridono gracchianti sulle increspature dell’asfalto come foglie marce sputate lontane dal vento. E ce ne staremo in un luogo dove io sono io, e tu sei tu, ma io sono un io più felice e tu risplendi del solo tuo stare al mondo.

Oppure no, forse non andrà così. Forse è meglio che stavolta da quel dolore non fuggiamo via. Forse è meglio farci trovare pronti, vestiti e profumati, quando verrà a bussare alla nostra porta. Gli apriremo, lo faremo accomodare nelle stanze più ospitali del nostro cuore, e non lo lasceremo andare fino a quando non gli avremo detto tutto, fino a quando lui non ci avrà detto tutto, fino a quando il suono delle nostre parole smetterà di avere un senso. E quando se ne sarà andato, sapremo che potrà tornare, ma sapremo anche che abbiamo imparato ad aprirgli la porta, a dargli del tu, a gridargli in faccia e ad ascoltare le sue ragioni. Saremo più grandi, e saremo più forti. Ci inventeremo qualcosa. Dio stesso si inventerà qualcosa. Ma ora dormi, amore mio. Ci penseremo domani… domani… domani…

Tuo marito, Sergio
13 febbraio 1975

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