Cara Anna,
mi sento un vigliacco a scriverti dalla stazione dei treni, mentre stai dormendo convinta che al tuo risveglio mi troverai ancora in casa. Credimi, non ho potuto fare altrimenti. Sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato. Rintanarci nella sperduta casa di campagna dei tuoi zii è stato solo un modo come un altro per fingere di poterci sottrarre all’inevitabile. Ma l’inevitabile è arrivato, ieri sera, sotto forma di lettera. Tu eri in città a quell’ora. Ho visto arrivare il portalettere da lontano, sbirciando i suoi passi affaticati da dietro le tende della finestra. E’ giunto davanti casa e ha bussato. Tre volte. Potevo fingere di non esserci, di essere andato in città anch’io. Ma che giovamento ne avrei tratto? Sarebbe tornato oggi. Avrei guadagnato forse delle ore di pace? No. Avrei guadagnato solo ore di angoscia. Meglio recidere subito l’arteria che mi lega a questo sogno di realtà. Gli ho aperto. Mi ha dato la lettera. L’ho firmata. Se n’è andato. Ci ho messo mezz’ora per aprirla. Poche parole, talmente scontate da potersi definire banali…
Su disposizione del Comando distrettuale, Vostra Eccellenza è ufficialmente pregata di sottoporsi a visita volta ad appurare la Vostra idoneità militare, entro e non oltre il 9 luglio 1915, presso il suddetto comando distrettuale, Stanza n. 3.
E’ strano come poche parole, di uso comune, possano scaraventare la tua esistenza lontano da tutto ciò che ami: i tuoi affetti, la tua casa, l’idea di te, in pochi secondi. Tutto spazzato via da parole tanto semplici quanto crudeli. Si fanno beffe di me, chiamandomi Vostra Eccellenza. Un’Eccellenza singolare, spogliata della libertà e costretta a morire uccidendo, perdendo così in un solo colpo la propria vita e la propria anima. Bada bene, non sono “obbligato” ad andare, ma “pregato”. E tuttavia non sono “cortesemente pregato”, ma “ufficialmente pregato”. Il punto sta proprio qui, Anna. Mi pregano, come farebbe un fedele col suo Dio, un figlio con la madre, come se io potessi avere la scelta di ascoltare o meno le loro preghiere, di accettare o meno il loro invito. Eppure lo fanno “ufficialmente”, decretando con un solo aggettivo l’ipocrisia dell’invito, la falsità di questa preghiera. Sembro avere scelta, ma non l’ho. E se ho preso la mia decisione senza chiederti il permesso, nonostante tu sia mia moglie, l’ho fatto perché la decisione non è mia e non sarebbe stata nostra. Loro hanno deciso per me nel momento in cui hanno scritto quella lettera.
Non ti biasimo se sarai in collera con me. Sono scivolato fuori dal nostro letto mentre dormivi e sono uscito di casa sgattaiolando via come un ladro. Ma è proprio per non sentirmi un ladro che ho deciso di fare così. Se fossi rimasto avrei rubato ore non più mie al tempo, perché dal momento in cui ho ricevuto la convocazione il mio tempo non è più mio, e le mie ore non mi appartengono più. Se fossi rimasto mi avresti convinto a non andare. Mi avresti detto che questa non è la mia guerra, che la Patria non può obbligarmi a morire per lei, che nessun burocrate ha il diritto di sottrarmi alla mia famiglia, al mio lavoro e alla mia casa per andare a uccidere uomini che non conosco, sottratti alla loro famiglia, al loro lavoro e alla loro casa. “Chi sono loro per obbligarti a fare qualcosa che non vuoi?” mi avresti chiesto. Io ti avrei risposto che non ho scelta, ma tu avresti ribattuto che non esistono situazioni in cui non possiamo scegliere, esistono solo situazioni in cui la scelta è così difficile da sembrare inattuabile. E le mie risposte sarebbero state sempre più fioche, sempre meno convincenti, finché non avrei concordato con te che è una follia barattare la mia coscienza per un obbligo trascritto da una macchina per scrivere su un foglio di carta comune.
Ecco perché non sono rimasto: non volevo essere convinto da te a rimanere. Sono un uomo debole, Anna. Per debolezza avrei accettato di strappare quella lettera e rimanermene a casa, al sicuro tra le tue braccia. Ma quanto sarebbe durato questo idillio fittizio? Settimane? Giorni? Ore? Ore che avremmo passato nell’ansia di ricevere altre lettere di convocazione, molto più ammonitrici. E se avessimo strappato anche quelle, che giovamento ne avremmo tratto? Prima o poi sarebbero venuti a prendermi con la forza, perché io non ho scelta, non l’ho mai avuta e nemmeno mi sono mai illuso d’averla. Dal momento in cui siamo entrati in guerra, io ho vissuto sub iudice. Il mio corpo, il mio respiro e i miei pensieri hanno cominciato ad appartenere a loro. Loro sono quelli che decidono dietro le loro scrivanie. Una mano sullo scacchiere insanguinato d’Europa, un’altra pronta ad afferrare anime in ogni regione d’Italia per scaraventarle dietro la trincea. Non credere che io voglia andare. Non voglio. Ogni cellula del mio corpo grida che non voglio. Eppure vado, devo andare. Devo andare perché quella lettera è stata spedita a milioni di altri uomini. Tutta la mia generazione l’ha ricevuta, e tutta la mia generazione andrà. I miei amici, i miei familiari, i miei ex compagni di scuola non si sono sottratti. Sono forse migliore di loro? Sono più forte? Amo la vita con più intensità? Odio la guerra con più fervore? Se rifiutassi la chiamata, come potrei guardarli negli occhi se dovessero tornare vivi dall’inferno? E come potrei partecipare ai loro funerali sapendo di essermi sottratto al dovere di stare loro accanto? E allora posso solo accettare di essere quello che mi hanno fatto diventare: carne che si offre al macellaio senza capirne la ragione, se non la ragione della cieca obbedienza.
Che Dio perdoni la mia debolezza. Che Dio perdoni le mie mani che si macchieranno di sangue, e le mie lacrime ipocrite quando implorerò di essere liberato dalla catena che io stesso ho stretto attorno alla mia anima. Il mondo è crudele, ma nonostante tutto non riesco a non essere grato alla vita che mi ha dato te. Addio, Anna. Perdonami se non ti ho dato l’ultimo bacio, ma sarebbe stato intriso di malinconia. Perdonami se non ti ho abbracciato per l’ultima volta, ma sarebbe stato come morire. Perdonami se quando riceverai questa lettera io sarò già lontano, ma già adesso non sono più io. Il Vittorio che conoscevi è morto nell’istante in cui ha ricevuto quella lettera. Prega per lui se puoi. E’ tutto ciò che ti chiedo. E’ tutto ciò che mi resta.
Tuo Vittorio,
1 luglio 1915