Caro Mattia,
ti scrivo per farti sapere quanto sia stato inopportuno il tuo comportamento di stamattina. Mi riferisco alla telefonata ricevuta alle nove in cui mi hai detto testualmente: “Ho una serie di cattive notizie da darti, ma al momento non ho tempo perché sto entrando in ufficio. Ti richiamo alle due. Ciao!”
Non mi hai dato nemmeno il tempo di replicare, di storcere il naso, di sorprendermi, di dire Bah. Ora, tu sai quanto io sia sensibile. Sai che basta il minimo accenno a un qualsiasi imprevisto, evento negativo o considerazione pessimistica per far precipitare il mio umore al grado zero. E tu cosa fai? Mi annunci “una serie di cattive notizie” e poi te ne vai? Così, impunemente? Senza darmi altri particolari al riguardo? Lasciandomi di fronte l’intero spettro delle disgrazie possibili e cinque ore di tempo per sviscerarle tutte, dalla A di “apocalisse” alla Z di “zanzare assassine dello Zimbabwe fanno rotta verso l’Europa”?
Inutile dirti che stamattina avrei dovuto lavorare. E invece non ho fatto altro che stilare un elenco immaginario di quello che avresti potuto dirmi alle due. In ordine sparso, ho immaginato che le cattive notizie potessero riguardare il mio lavoro (dopo tutto sei l’intermediario di un importante affare che sto per concludere) la mia famiglia (dopo tutto sei mio cognato), la mia situazione economica (dopo tutto sei il mio commercialista) e la mia salute (dopo tutto ti avevo chiesto di passare a ritirare i risultati delle mie analisi mediche).
Ho immaginato la nostra conversazione fin nei minimi dettagli. Ogni volta cambiavo versione e la versione successiva era sempre peggiore della precedente.
“Mi dispiace dirtelo ma l’affare è saltato. Il cliente ha valutato la tua proposta e l’ha ritenuta insufficiente.”
“Mi dispiace dirtelo ma ho scoperto che tua figlia si fa le canne nei giorni in cui marina la scuola. L’ho vista insieme a quel pregiudicato appena uscito di galera. Mi è sembrata un po’ gonfia, temo sia incinta.”
“Mi dispiace dirtelo ma ho truccato le cifre delle tue dichiarazioni dei redditi negli ultimi quindici anni. Tu mi capirai, volevo assolutamente comprarmi il suv e la Maserati. Ovviamente ho falsificato la tua firma. Ti chiamo da un luogo segreto nel sud-est asiatico per avvertirti, visto che siamo amici, che la guardia di finanza ti verrà a prendere in giornata.”
“Mi dispiace dirtelo ma le analisi hanno riscontrato un tumore maligno al fegato. Ti resta poco, perciò è bene che tu sappia che l’affare col cliente è saltato, tua figlia è stata messa incinta da un pregiudicato appena uscito di galera e tu hai evaso il fisco per una somma sufficiente a passare i tuoi ultimi giorni in prigione.”
Tutte queste ipotesi di conversazione le ho formulate nel quarto d’ora successivo alla tua telefonata. Ti lascio immaginare cosa abbia potuto partorire la mia mente fantasiosa e ansiogena nelle successive quattro ore e tre quarti. Quando sono scoccate le due avevo già perso due chili ed ero pronto a fare testamento. Poi squilla il telefono e tu, con la voce rilassata e l’indifferenza tipica degli uomini di poca fantasia, mi annunci che “la serie di cattive notizie” riguardava le seguenti questioni: 1) Non eri riuscito a ritirare le mie analisi a causa del traffico. 2) Avevi appena saputo da “radiomercato” che la Roma non era riuscita a comprare quel formidabile terzino destro brasiliano che avrebbe sistemato la difesa. 3) Il tuo amato barboncino era stato ricoverato dal veterinario per problemi intestinali.
Confesso che il mio primo istinto è stato quello di farti picchiare dal terzino brasiliano lì dove ti sarebbero potuti venire problemi intestinali. Poi sono rientrato in me, ho tirato un sospiro di sollievo e ho deciso con calma di scriverti questa lettera per darti un semplice consiglio…
Il mondo, lo sai, si divide in due categorie: da una parte, le persone che si aspettano sempre il peggio e raramente rimangono deluse. Dall’altra le persone che si aspettano sempre il meglio e raramente vengono esaudite. I primi passano la maggior parte delle giornate malinconici e disillusi, consapevoli dell’infausto destino che li attende. Poi, quando il destino si compie, vivono un subitaneo momento di soddisfazione per aver azzeccato la previsione, prima di riprecipitare nell’attesa della successiva disfatta. I secondi, invece, vivono cocenti delusioni quando scoprono che le loro speranze disattese sono state tradite. Ma a fronte di questo triste momento trascorrono le loro giornate inebriati da un’atmosfera di speranza e fiducia. Io, sappilo, mi sforzo tutte le mattine di giocare nella seconda squadra, fedele al motto di Albert Einstein “E’ meglio essere ottimisti ed avere torto piuttosto che pessimisti ed avere ragione”. Perciò se hai da dirmi qualcosa che ritieni brutta, non me l’annunciare cinque ore prima, ma rivelamela subito. Mi risparmierai atroci sofferenze, per lo più inutili.
Tuo cognato,
5 agosto 2009