Ciao papà,
non avrei mai pensato di scriverti. Non ti illudere che lo faccia perché ti ho perdonato. Ti odio per quello che hai fatto, e spero che i tuoi giorni in carcere siano molto lunghi e molto dolorosi, perché da quando hai deciso, con la tua scelta, di far vivere nel dolore me e la mamma, non riesco ad augurarti altro che di soffrire quanto noi. Perché ti scrivo allora? Perché forse sei l’unica persona che può capirmi. Vorrei che fosse un altro, qualsiasi altro. Ho pensato di parlarne allo zio Sergio, ma il massimo sbaglio che ha commesso nella sua vita è stato quello di dimenticarsi le chiavi in casa, quella volta in cui per entrare ha dovuto chiamare i vigili del fuoco. Ho pensato di parlarne a Edoardo, ma un peso così grande non può essere condiviso da chi ha la tua stessa età. Ho pensato di scrivere a don Enrico, ma mi è mancato il coraggio. Saprei già quello che mi direbbe, e non voglio sentirmelo dire. Di palarne alla mamma è escluso; le darei un dolore troppo grande.
E allora non mi rimani che tu, il campione degli sbagli. Tu che quando hai distrutto la nostra famiglia hai avuto il coraggio di dire: “Ho commesso solo un errore. Un solo errore in tutta la mia vita.” Ti ho odiato ancora di più per quelle parole. Le trovavo stupide. Pensavo che certi errori non si possono commettere, non sono tollerabili. Pensavo che a volte la differenza tra un solo errore e nessun errore è tutto, perché può cambiare il destino del mondo che ti circonda.
Non capivo la tua rabbia, il tuo rimpianto, il voler giustificare la tua azione riducendola a una questione di numeri. L’ho capito tre giorni fa. Stavo tornando dalla festa di Marta. Non ero ubriaco, anche se avevo bevuto un po’. I tornanti della statale erano al buio, come al solito. Forse ho accelerato un po’ troppo, forse ho calcolato male l’angolo della curva. Non l’ho vista, giuro di non averla vista. Viaggiava piano, col suo scooter. Non saprei dirti se era nella mia corsia o in quella di sorpasso. Me la sono vista davanti e non ho fatto in tempo a frenare. L’ho presa di striscio ed ha sbandato subito. Il mio sguardo si è spostato sullo specchietto retrovisore. Era una ragazza, ho visto i suoi capelli, non aveva il casco… è stato tutto troppo rapido. Non so se sia finita nel crepaccio, se sia caduta o volata via. Prima c’era, poi non c’era più. Ero già troppo avanti per capire. Ero già troppo avanti per fermarmi. Tornare indietro non era possibile. Sono andato avanti. Per tutto il tragitto verso casa ho spostato il mio sguardo sullo specchietto, nella speranza di vederla dietro di me. Ho sperato perfino che mi rincorresse, per insultarmi, denunciarmi, farmela pagare. Rallentavo, per consentirle di raggiungermi, ma c’era il vuoto dietro di me.
Sono arrivato a casa e mi sono messo subito a letto. Non ho dormito. Il giorno dopo non ho acceso internet. Per i successivi due giorni non ho letto le notizie di cronaca. Magari avrei trovato un articolo su di lei. Qualcosa che parlava di un incidente sulla statale, di una ragazza trovata morta, della polizia in cerca di un pirata della strada. Ho provato a cancellare quella notte, come se non fosse mai esistita, come se al volante non ci fossi stato io, come se fosse stato tutto un incubo. Andavo a scuola, facevo colazione, studiavo, dormivo, come se il mondo che conoscevo fosse ancora lì. Ma è tutto cambiato. E’ tutto diverso. E questo peso che mi opprime e mi schiaccia non riesco più a portarlo.
Non posso accettare di rovinare la mia vita per un solo sbaglio. Non ho mai fatto del male a nessuno. Ho sempre voluto bene a tutti. Perché è successo proprio a me? Avevo solo bevuto un po’. Non è stata colpa mia. Non l’ho vista. Sarebbe potuto capitare a chiunque. E allora ho ripensato alle tue parole: “Ho commesso solo un errore. Un solo errore in tutta la mia vita.” Non mi aspetto che tu mi dica cosa fare. So già cosa devo fare, anche se ogni fibra del mio corpo si ribella. Non ti ho scritto per chiederti consiglio. Ti ho scritto per dirti che continuo ad odiarti, ma almeno, da quando ho commesso anch’io quell’unico errore, capisco le tue parole.
Andrea,
13 maggio 1975