Mattonelle incrinate

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Cara Marilena,
ti sono molto grata per la chiacchierata al telefono di stamattina, ma ti confesso di non essere stata del tutto sincera. Quando mi hai detto che, dall’esterno, il mio matrimonio con Franco sembrava solido come una parete splendente senza incrinature, non ho avuto il coraggio di dirti quello che mi è successo ieri sera.

Franco ha invitato un cliente a casa nostra, e mentre loro si intrattenevano in salotto, con le luci accese, e il camino acceso, e tutto illuminato e ben visibile, io, a un certo punto, sono uscita in terrazza. Il freddo era pungente, ma sentivo il bisogno di estraniarmi, di avere uno spazio tutto mio. Non è stata una dimenticanza, ma un istintivo bisogno: non ho acceso le luci. E così mi sono ritrovata a passeggiare per la terrazza, al buio. Al buio, e sola, senza nemmeno la classica sigaretta d’accompagnamento. Ed è stato lì, sulla terrazza, dopo qualche minuto, che i miei occhi si sono abituati all’oscurità, e lì, nell’oscurità vagamente mitigata dal chiarore di una luna pallida, mi sono accorta che due mattonelle erano lievemente incrinate e sollevate da terra.

Emergevano dalla linea del pavimento, come increspature sull’acqua, come zolle d’asfalto che, dopo un violento terremoto, decidono di sollevarsi da terra tendendosi temerarie verso il cielo. Le ho osservate a lungo, quasi inebriata dalla loro vista, e sconvolta dal fatto che mai mi ero accorta di quel difetto. Io e Franco calpestiamo quella parte di terrazza quotidianamente. I nostri piedi poggiano proprio lì, almeno cinque, sei volte al giorno. Alla luce del sole, senza ombre né oscurità a coprire l’evidente. E in tutta questa luce, in tutto questo abbagliante chiarore, non ci siamo mai accorti di quelle due mattonelle.

Mi è bastato un attimo per capire: per quanto ci ostiniamo a pensare il contrario, spesso è la luce a nascondere, e l’oscurità a rivelare. Troppa luce abbaglia, troppa luce acceca, ma nella penombra silenziosa di una leggera oscurità le cose appaiono per quello che sono, forse meno nitide, ma certamente più vicine all’idea che Dio aveva di loro. Il fatto è che sono passata su quelle mattonelle centinaia di volte, ma la luce mi ha impedito di vederle. Non avevo bisogno di fermarmi a guardarle, sapevo che stavano lì e questo mi bastava. Stavano lì, a espletare la loro funzione di mattonelle, così come i gesti quotidiani che io e Franco compiamo dal giorno del nostro matrimonio stanno lì, a espletare la loro funzione di gesti quotidiani. Ma ci siamo talmente dentro, che accorgersi delle mattonelle incrinate non è possibile: di notte le pupille degli occhi si dilatano per visualizzare meglio la porzione di cammino che abbiamo davanti, ma la luce che illumina tutto distrae e disperde lo sguardo.

Quando il cliente se n’è andato, ho chiesto a Franco di seguirmi in camera. Dopo aver placato le sue proteste, ho spento la luce. C’è voluto un po’ perché ci abituassimo all’oscurità. Poi, lentamente, è successo. I nostri visi, così conosciuti alla luce del sole, così noti ai nostri occhi stanchi, hanno assunto forme diverse. Eravamo sempre noi, ma eravamo altri. La luce della luna ci illuminava in modo diverso. E io non ero più la stanca impiegata che lui vedeva al ritorno da lavoro. E lui non era più l’avvocato stressato che vedevo al ritorno a casa. Se ci fosse stata la luce a illuminarci, ad abbagliarci, a distrarci, avremmo parlato di meteo, cibo e problemi sul lavoro. Ma non quella sera. Non in quel momento. Per la prima volta dopo mesi abbiamo parlato di noi, a cuore aperto. Ci siamo chiesti come va il cammino, dove abbiamo inciampato, quali sono quelle spine che abbiamo da troppo tempo nel cuore e che non vogliamo estrarre per paura di morire dissanguati. E lì, in camera, nella penombra della sera, sono venute fuori le incrinature, tutto quello che non osavamo dirci e che ci aveva resi aridi, scostanti, malinconici, senza che capissimo il perché.

E allora, amica mia, voglio dirti che quando percepirai che il rapporto con tuo marito sta andando in una direzione che, per motivi forse a te inspiegabili, ti rende infelice, prima di consultare psicologi e divorzisti, tarocchi e oroscopi, specchi e riviste, porta tuo marito in una stanza della casa, spegni la luce, e lasciati guardare nell’oscurità.
Poi, se ti rimane un po’ di tempo, saresti così gentile da darmi il numero di un buon piastrellista?

Vanessa,
3 settembre 1987

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