Caro nipote,
è la prima lettera che ricevi da me e forse sarà l’ultima. Il fatto è che certe cose non riesco a dirtele di persona (è un mio limite, lo so) per cui ho pensato di scrivertele. Sappi che l’altro giorno, quando ti sei chinato per prendere il libro di ricette di tua madre nell’ultimo cassetto in cucina, i tuoi pantaloni si sono chinati con te scoprendo molto più di quello che avrebbero dovuto scoprire. Non è stato un incidente, né un fatto raro. Forse tu andrai orgoglioso dei tuoi pantaloni a vita bassa. Tutti i tuoi coetanei li indossano, e fate a gara a mostrare le mutande più cool. Non so per quale aberrazione del cervello possiate considerare “figo” andarvene in giro con le mutande di fuori, ma ho il dovere di avvertirti che l’unico scopo che raggiungete è quello di rendervi ridicoli, nella migliore delle ipotesi.
Prima che tu possa chiamarmi “antiquato” debbo rammentarti che la moda dei pantaloni a vita bassa è nata con la mia generazione, quando Jimi Hendrix, i Doors e i Led Zeppelin li hanno resi famosi inducendo all’imitazione milioni di ragazzi. Spariti dalla circolazione negli anni ’80 sono tornati in auge una decina d’anni fa, ma nella versione più becera. Ora, io so che certe cose non le vorresti sapere, ma io te le dico lo stesso. Lo sai qual è la vera origine dell’usanza di mostrare le proprie mutande fuori dai pantaloni? Proviene dalle prigioni americane, dove alcuni carcerati se ne andavano in giro così. Motivo? Secondo la prima spiegazione le guardie impedivano l’uso delle cinture, usate come strumenti di suicidio, costringendo di fatto i carcerati a camminare con i pantaloni larghi che cadevano sui fianchi. Secondo un’altra spiegazione mostrare parte della mutanda fuori dai pantaloni era un segnale segreto con cui si dichiarava agli altri la propria disponibilità sessuale. Adesso dimmi, trovi ancora cool mostrare i tuoi indumenti intimi a perfetti sconosciuti incontrati per strada?
Con quel cavallo che ti arriva a metà coscia dai l’idea di un idiota che ha sbagliato misura dei jeans, o di un pinguino che si muove goffamente fuori da un palcoscenico. E quando devi chinarti o abbassarti per qualsiasi motivo, il rischio di far prendere aria al tuo sedere mostrandolo al mondo è pari al disgusto di chi si trova dietro di te ad assistere alla scena. Credimi, non è un bello spettacolo. E non perché le tue chiappe – scusa il linguaggio – siano fatte male, ma perché credo ancora che debba esistere quella cosa forse a te incomprensibile, che una volta veniva chiamata “pudore”. Ecco, mi sembra che parte della vostra generazione reciti quotidianamente in questo planetario spot-truffa che, parafrasando lo slogan di un’altra pubblicità, vuole urlare al mondo “Altolà al pudore!” Come se il pudore fosse qualcosa di sbagliato. Come se fosse nemico di una presunta libertà di espressione. Ma è l’espressione di un pensiero fuorviante, perché se pensi che indossare pantaloni a vita bassissima sia un gesto di ribellione, sappi che è un gesto di ribellione verso la tua intelligenza. E se credi che sia un gesto di libertà, sappi che sei liberissimo di suscitare ilarità e disgusto, ma non credo che sia la scelta migliore che tu possa fare.
Con affetto, zio Carlo
11 aprile 2010